Resistenza comunista in Germania 1933-1945

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T. Derbent

Resistenza comunista in Germania 1933-1945

Secondo Claude David, «fino al 1938 non c’è stata in Germania alcuna resistenza organizzata
». E questa è anche l’opinione di Alain Desroches che ne attribuiva la nascita, nel 1939, ad alcuni aristocratici e alto borghesi: a prima velleità d’opposizione all’ideologia hitleriana e alla politica del Führer [...] aveva preso origine alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale in una dimora signorile presso Kreisau [...]. Questa dimora apparteneva al conte Helmuth James von Moltke, fondatore del “Circolo di Kreisau”, che divenne il primo nucleo dell’opposizione al nazismo. [...] Fra loro vi erano liberali e conservatori, aristocratici ed ecclesiastici, proprietari terrieri e industriali, avvocati e professori.
Quanto agli operai, secondo David Shoenbaum, «furono incapaci di organizzare la benché minima resistenza efficace. Le proteste, marginali, che si levarono fra il 1933 e il 1939, erano di ordine economico e non politico; esse poggiavano, sembra, non su un’opposizione sostanziale bensì su questioni legate a orari e salari”.
La resistenza comunista non meritava che una nota a pie’ pagina. Nelle ottocento pagine che Peter Hoffmann ha consacrato alla resistenza tedesca contro Hitler, solo qualche decina di righe è dedicata alla resistenza comunista. Nel capitolo sulla resistenza al nazismo dell’opera di Mau e Kreusnick, non si parla che dei cospiratori del 20 luglio e del gruppo degli Scholl, senza alcuna menzione alla resistenza comunista.
Eguale silenzio nella summa di Peter Rassow e nello studio di Alfred Frosser: «Gli anni 1940-41 videro l’opposizione al suo punto più basso [...]. Dopo la sconfitta di Stalingrado, l’atmosfera cambiò. A partire da questo momento, la resistenza andava componendosi di due correnti molto differenti e pertanto inestricabilmente mischiate. L’una comprendeva coloro che volevano abbattere Hitler per finirla con la barbarie nazista. Essa fu impersonificata dalle ammirevoli figure degli studenti Hans e Sophie
Scholl, uccisi a Monaco nella primavera del ’43 dopo un processo farsa [...]. L’altra tendenza mirava anch’essa a liberare la Germania da Hitler, ma solamente perché stava portando il Paese al disastro [...]. Questa tendenza fece adepti soprattutto fra gli alti gradi dell’esercito e in alcuni ambienti dirigenziali».
L’inesistenza di una resistenza comunista sembra fare talmente l’unanimità che, lungi dal discuterla, François-George Dreyfus propone piuttosto di spiegarla: “La prima resistenza al nazismo sarebbe potuta venire dalla sinistra socialista o comunista. Ora, ricordiamoci che dal febbraio 1933 i principali responsabili del KPD furono arrestati e inviati a Dachau e a Oranienburg […] e circa 15/20 mila responsabili di sinistra andarono in esilio all’estero […]. La loro resistenza si svolse dunque all’esterno del Reich e il suo impatto, ridotto sin dall’inizio, si indebolì rapidamente. […] I militanti di base, a eccezione di alcuni particolarmente coraggiosi, si nascosero o si allinearono alle SA o alla NSKK o ancora al Fronte del Lavoro, non esitando a militarvi per far dimenticare il proprio passato».
Analisi fatta propria anche da Gerard Ritter e da Kurt Zentner. Henry Bogdan è uno dei rari autori che riconosca un’attività comunista, ma da far rimontare a giugno 1941, alla dichiarazione di guerra contro l’URSS: «La seconda resistenza [essendo la prima quella dei politici e degli intellettuali esiliati] – la vera – quella sul campo e sotto la costante minaccia repressiva del regime, proveniva da tre ambienti differenti: le Chiese, i movimenti conservatori e l’esercito. […] I militanti comunisti, per lungo tempo
passivi e un po’ disorientati dal patto tedesco-sovietico, organizzarono la loro resistenza a partire dall’estate del 1941, con diffusione di volantini e sabotaggi».
Allan Dulles propone la stessa visione: «Fu solamente con l’invasione della Russia, che l’organizzazione comunista clandestina riprese vita».
Lo stupefacente in questa bella unanimità (non considerando le sfumature fra questi punti di vista come vere differenze) non è che queste affermazioni siano false: è l’estrema abbondanza di prove della loro falsità. La presente opera non ha richiesto all’autore un lavoro particolarmente accanito: gli è stato sufficiente accedere alla storiografia della Germania dell’Est e comparare i dati con quelli della storiografia occidentale.
Si tratterà dunque non tanto di stabilire, quanto di “conquistare” una verità storica, e di smascherare così i falsificatori della storia, in guisa di omaggio a coloro che costoro hanno assassinato per la seconda volta.

120 pagine

 

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